Da “Bari Economica “ – Rivista bimestrale della Camera di Commercio di Bari – n. 1 del 2009 – di Gaetano Chianura e Annabella Cazzolla
Le nostre imprese operano con l’estero senza stipulare contratti, semplicemente dando corso ad ordinativi, oppure siglano contratti predisposti integralmente dai partner esteri: analisi dei potenziali rischi e delle strategie da adottare.
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La Puglia, con una ritrovata forza economica, spicca il volo grazie i dati della sua performance nell’export: secondo le rilevazioni eseguite dall’Istat nei primi sei mesi l’export della Puglia, in perfetta coerenza con tutte le regioni meridionali (+11,9%), con il Molise capofila, registra un aumento, rispetto al 2007, di oltre 11 punti percentuali (11,2%), mentre la media nazionale si è attestata solo al 5,9; in altri termini il Sud (isole comprese) in maniera brillante ha risollevato il dato nazionale, se solo si pensa al dato negativo (-0,9%) realizzato dalle regioni del centro Italia. Volendo analizzare nel dettaglio i dati export della nostra provincia, scopriamo che Bari, confrontando le variazioni, registrate tra il II semestre 2007 e il medesimo semestre di quest’anno, secondo i dati ad oggi disponibili, fa registrare un incremento dell’export totale (verso il Mondo) pari al 22,4%; e, in coerenza anche con i dati nazionali, l’export realizzato predilige più i mercati dei Paesi extra Ue che in quelli dell’Unione Europea. Dall’analisi settoriale emerge che le migliori performance della nostra regione si registrano nel settore di prodotti alimentari, tabacchi e bevande con un +14,7% e nel settore dei macchinari e apparecchi meccanici con un +17,3%. La ripresa del primo semestre 2008 non costituisce un dato eccezionale, anche considerando che parte del nostro export riguarda i trasferimenti intercompany operati dalle multinazionali presenti sul nostro territorio; tuttavia si inserisce nel trend di crescita continua del nostro export, registrato ormai da tre anni a questa parte: secondo il Vice Presidente della Regione Sandro Frisullo “la Puglia sta diventando, con il consolidamento dei dati sulla crescita di Pil e export, una locomotiva di testa nel Mezzogiorno d’Italia, soprattutto con l’export della meccanica nei paesi extra. La Puglia ha raggiunto livelli storici, che le consentono di guardare con più fiducia al futuro, puntando, come ha fatto anche grazie ai finanziamenti pubblici, sulla specializzazione settoriale, sulla innovazione tecnologica e sulla diversificazione merceologica.
Ogni giorno dunque vengono concluse un gran numero di operazioni internazionali, in diverse aree del mondo, sia per lo sbocco dei propri prodotti e/o servizi sia per l’approvvigionamento degli stessi, ma quante di queste transazioni sono cristallizzate in accordi contrattuali in grado di tutelare gli interessi dell’imprenditore di casa nostra? In realtà in pochissimi casi le PMI operano con l’estero dotandosi di contratti redatti per iscritto da giuristi esperti: semplicemente evadere gli ordini che arrivano in azienda come anche il semplice siglare il contratto trasmesso dalla controparte, se in una prima fase può rappresentare per l’imprenditore un risparmio di costi e di tempi, ben presto può rivelarsi davvero controproducente, determinando spesso pesanti ricadute in termini economici, per arginare le quali si ricorre ai rimedi giudiziali, che non sempre risultano essere efficaci
LA SCELTA DELLA LEGGE APPLICABILE
La prima regola da rispettare è quella dell’autosufficienza del contratto internazionale: dovrebbero trovarsi già al suo interno i rimedi per affrontare determinate criticità del rapporto; già in fase di stesura del testo contrattuale infatti le patologie possono essere previste, quindi con l’inserimento del rimedio ad hoc per ciascuna di esse, si possono regolamentare le conseguenze del loro eventuale insorgere, limitando di molto le variabili di rischio. Inoltre, un equivoco molto diffuso tra gli operatori economici è quello di confondere la questione della scelta della legge applicabile al contratto con quella relativa alla determinazione del giudice competente a decidere una eventuale controversia. Si tratta in realtà di problemi sostanzialmente differenti e indipendenti, regolati da leggi diverse e che le parti devono affrontare nel contratto in due distinte clausole. A tal proposito è frequente che il contratto specifichi solo l’autorità competente a dirimere le controversie che potrebbero insorgere tra le parti, poiché si crede erroneamente che la scelta della giurisdizione italiana comporti per il giudice italiano l’automatica applicazione della legge italiana. Con la semplice elezione di Foro l’imprenditore (ma non solo) spesso crede di farsi giudicare dal giudice del suo Paese secondo la propria legge. Ciò non corrisponde a realtà: non è inusuale infatti pensare che un Giudice italiano indicato in contratto come “competente” a dirimere la controversia si trovi ad applicare al caso sottoposto al suo esame la legge di un Paese straniero. Qualche esempio potrà meglio illustrare gli errori in cui spesso si incorre. Per quanto attiene la scelta della legge applicabile, l’esempio che segue è sintomatico di ciò che sovente accade. In un contratto tra un venditore di tessuti turco ed un acquirente italiano è stata operata una elezione di foro in favore del Tribunale di Bari, senza alcuna indicazione della legge applicabile al contratto. In base a quale legge il Giudice dovrà dirimere la controversia?Il riferimento normativo è rappresentato dalla legge italiana sul diritto internazionale privato (L. n. 218/1995) che stabilisce, all’art. 57, che le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 1980, senza pregiudizio alle convenzione internazionali, in quanto applicabili (quest’ultima parte si riferisce al diritto comunitario che è considerato prevalente, ma in questo caso non trova applicazione perché si tratta di paese extra UE). La convenzione stabilisce che, in mancanza di scelta della legge applicabile al contratto, come nel caso de quo, si applicherà la legge del Paese con cui il contratto presenta il collegamento più stretto (solitamente – ma non è regola fissa – si tratta della legge del Paese in cui ha sede la parte che deve fornire la prestazione caratteristica): il venditore turco che produce e vende tessuti è senz’altro la parte che fornisce la prestazione caratteristica, essendo la controprestazione rappresentata unicamente dal pagamento del prezzo, pertanto la legge applicabile sarà quella turca, il Giudice italiano dovrà decidere il caso secondo la legge turca applicabile alla vendita internazionale.
LA SCELTA DELLA GIURISDIZIONE
Venendo invece ad esaminare la questione relativa alla scelta del Giudice competente a dirimere le controversie, dobbiamo premettere che le opzioni sono varie e vanno considerati almeno due profili: 1. il ruolo che le parti hanno all’interno del rapporto contrattuale e 2. la possibilità di eseguire le decisioni ottenute nel Paese in cui risiede la controparte (o in cui questa possiede beni aggredibili). Per quanto riguarda il prima aspetto, se una parte ipotizza di poter vantare dei crediti nei confronti della controparte (si pensi al venditore o all’agente) ed essere costretta ad agire per il loro recupero (strategia offensiva), questa dovrà scegliere l’opzione che meglio consenta di eseguire il provvedimento giudiziario ottenuto nei confronti del debitore; se invece è più probabile che sia la controparte ad agire nei suoi confronti, sceglierà l’opzione più “comoda” per attuare la sua strategia difensiva. Per quanto riguarda il secondo aspetto spesso accade pur avendo ottenuto una sentenza favorevole nel proprio Paese, l’imprenditore poi ne veda vanificati tutti gli effetti per l’impossibilità di ottenerne il riconoscimento nel Paese della controparte. Un esempio faciliterà la comprensione della problematica. In un contratto di compravendita stipulato tra un produttore italiano e un compratore cinese, è stata pattuita la clausola che designa come competente a decidere l’eventuale controversia il giudice italiano.(e come legge applicabile si è scelta la Convenzione di Vienna sulla vendita di beni mobili, di cui entrambi i Paesi sono firmatari).L’imprenditore cinese non adempie all’obbligazione contrattuale del pagamento del corrispettivo, e pertanto la parte italiana chiede ed ottiene una sentenza di condanna della controparte cinese. Una volta passata in giudicato la sentenza, la parte italiana ne chiede il riconoscimento in Cina per avviare la procedura esecutiva sui beni del debitore. L’autorità giudiziaria cinese, sulla base della propria legge, oppone il rifiuto al riconoscimento della sentenza (giudicata genericamente contraria agli interessi statali).A questo punto il venditore italiano, pur avendo ottenuto un provvedimento favorevole in Italia, rimane privo di tutela sostanziale dei suoi interessi. Cosa fare? Esiste in realtà la possibilità di prevenire tal genere di rischio già in sede di redazione del contratto internazionale: si sarebbe potuto infatti optare per l’adozione di un arbitrato internazionale, in quanto in sede di contenzioso, il lodo ottenuto, in virtù dell’adesione della Cina alla Convenzione di New York del 1958 sull’arbitrato ed in assenza invece di convenzioni sul riconoscimento delle sentenze tra i due Paesi, avrebbe potuto ottenere immediato riconoscimento in Cina.
REGOLAMENTO CE N. 593/2008 C.D. “ROMA I”
Nell’attuare compiutamente quello che viene definito spazio giuridico europeo, non poteva certo mancare una normativa uniforme e direttamente applicabile che riguardi la disciplina delle obbligazioni contrattuali: con l’approvazione del regolamento CE n. 539/2008 detto Roma I, si è tradotta in regola comunitaria e quindi in normativa uniforme la Convenzione di Roma del 198 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, essendo l’unico strumento in materia di diritto internazionale privato che a livello comunitario rivestiva ancora la forma del trattato internazionale. Non si tratta di un corpus nuovo di norme giuridiche, ma della trasposizione in un regolamento comunitario di regole di una convenzione già esistente ed operante, al quale sono state apportate alcune modifiche che consentano di modernizzare alcune disposizioni della Convenzione, rendendo il testo più chiaro e preciso e aumentando in tal modo la certezza del diritto. Non ne possiamo in questa sede analizzare la portata innovativa in maniera integrale, ma possiamo fornire alcune indicazioni: In primo luogo, va evidenziato che le parti possono decidere di applicare al proprio rapporto contrattuale anche norme non statuali, scelta prima impedita proprio dallo spirito della Convenzione stessa (si autorizza, in particolare, la scelta dei principi UNIDROIT, dei Principles of European Contract Law o di un eventuale futuro strumento comunitario facoltativo, vietando invece la scelta della lex mercatoria, insufficientemente precisa). L’altra novità di rilievo è rappresentata proprio dai criteri adottati in caso di mancanza di scelta della legge applicabile: la norma della convenzione, vale a dire l’applicazione della legge del luogo in cui risiede abitualmente la parte che fornisce la prestazione caratteristica, è mantenuta, ma vi si ricorre in seconda battuta, ossia nei casi in cui non si è in presenza degli accordi contrattuali più diffusi (ovvero vendita, prestazione di servizi, trasporto, franchising, distribuzione etc.), per i quali il regolamento, a priori, individua la legge applicabile. In altri termini, per i contratti utilizzati più di frequente nella pratica del commercio internazionale, si elimina in radice il rischio che il concetto di prestazione caratteristica sia interpretato in maniera difforme.