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1. Specializzazione professionale per garantire assistenza qualificata alle imprese.- l’avvocato internazionalista e giurista di impresa: le figure di supporto per le operazioni internazionali.
Nell’ultimo decennio l’internazionalizzazione (commerciale e/o produttiva) è diventata una necessità imprescindibile per le imprese, anche medio-piccole, che hanno cominciato a mettere in atto le prime procedure volte a fronteggiare la perdita di competitività che ha intaccato – oggi possiamo dirlo – quasi tutti i settori.
La globalizzazione, infatti, ha creato un sistema mondiale di produzione che è verticalmente integrato, ossia produttori, subfornitori, distributori, venditori, sono tutti integrati in un’unica catena verticale di dimensione internazionale. Le imprese che non riescono ad inserirsi all’interno di questa catena, a garantire gli standard tecnici e gli stessi livelli di cultura aziendale che le multinazionali – poste al vertice della catena – impongono, si troveranno a breve inevitabilmente estromesse dal sistema. In altri termini il fenomeno sempre crescente della globalizzazione fa sì che per le imprese l’internazionalizzazione, come detto, più che un’opzione, rappresenti, una vera necessità, e dunque anche una coerente organizzazione della struttura aziendale diventa fondamentale. La vastità e l’eterogeneità della problematiche connesse al processo di internazionalizzazione impongono la presenza (interna o esterna all’impresa) di figure qualificate, in grado di supportare l’imprenditore in ogni scelta strategica dell’azienda.
Il giurista di impresa è una figura che ha il compito di analizzare in via preventiva la compatibilità delle scelte e strategie aziendali con ogni aspetto legale, soprattutto nella prospettiva di prevenire rischi e possibilità di sanzioni. Per quanto concerne le operazioni internazionali, si pensi ad esempio alla normativa introdotta dagli USA con il “Bio Terrorism Act” in base al quale tutte i prodotti alimentari che varcano la dogana statunitense devono essere “preannunciati” in maniera formale, pena il blocco in dogana ; l’azienda esportatrice estera deve registrare i propri stabilimenti di produzione e dotarsi in USA di un rappresentante denominato agent che è il solo abilitato a ricevere tutte le informazioni provenienti dalle autorità statunitensi e destinate all’azienda: in questo caso il ruolo del giurista di impresa è quello di chi, dopo aver studiato la procedura di esportazione del prodotto, si assicuri che la procedura commerciale posta in essere dalla propria azienda non collida con quanto richiesto dalle autorità statunitensi. Ma il giurista di impresa è inserito nella maggior parte dei casi in società di medio-grandi dimensioni, proprio per i costi di mantenimento che detta figura comporta, dovendo essere inserito come dirigente o quadro; per la stragrande maggioranza delle società invece la risorsa di cui ci si avvale è esterna all’azienda e coincide con il consulente avvocato internazionalista (e/o fiscalista internazionale), che offre la sua assistenza altamente specialistica che si sostanzia nella redazione di contratti internazionali, nella strutturazione di progetti di de-localizzazione all’estero, nell’assistenza nella pianificazione fiscale internazionale e nei contenziosi e arbitrati all’estero.
2. Strutturare un piano di espansione internazionale: i Paesi target.
Ma prima di scendere in medias res, ossia entrare nel vivo della realizzazione di un piano di espansione internazionale, occorre a monte comprendere quali siano i reali obiettivi che l’impresa si pone al fine di assicurare un’assistenza coerente con le sue reali esigenze. A tal riguardo è necessario favorire una razionalizzazione delle strategie di fondo dell’internazionalizzazione, consentendo alle imprese di capire quale direzione percorrere, se andare a monte dei processi di produzione (de-localizzando o avvalendosi di sub-fornitori esteri) oppure a valle (aprendosi a nuovi mercati e dunque nominare agenti o costituire uffici di rappresentanza, branch etc); è importante cioè decodificare l’esigenza dell’imprenditore per indirizzarla verso il giusto investimento. Spostandoci nell’ambito delle PMI del Mezzogiorno, è evidente che l’internazionalizzazione dei mercati di sbocco assume rilevanza strategica, in quanto delocalizzare le produzioni diventa un’operazione troppo impegnativa per imprese piccole e non strutturate: in questo senso la scelta del Paese di sbocco diventa l’elemento fondamentale del processo di internazionalizzazione, e da questa scelta in larga parte dipende infatti il successo dell’iniziativa imprenditoriale.
Non esiste un decalogo che permetta una progettazione di sviluppo internazionale immune da rischi e da controindicazioni. Possiamo però affermare che esistono una serie di fattori la cui preventiva valutazione può garantire un orientamento affidabile. Tra questi:
a) La vicinanza geografica – La vicinanza geografica si ritiene presupponga anche una identità culturale col Paese limitrofo, e quindi per l’impresa che per la prima volta si affaccia in un contesto internazionale può rivelarsi più agevole e meno traumatico interagire con Paesi vicini geograficamente o con i Paesi membri dell’Unione Europea dove le procedure di esportazione sono semplificate al massimo e meglio conosciute, gli standard tecnici sono uguali ed è agevole reperire informazioni.
b) Il sistema socio-economico del Paese straniero – Con questo fattore si è soliti inquadrare elementi quali la lingua del Paese, il sistema culturale, i comportamenti sociali e quelli economici, al fine di valutarne le compatibilità con la tipologia di prodotti e i servizi che si intende collocare sul mercato estero.
c) La situazione politico-economica del Paese estero – Tale aspetto riguarda la stabilità politica, economica, monetaria e il sistema normativo.
d) L’organizzazione commerciale e distributiva del mercato estero – Una volta selezionati i potenziali Paesi di espansione, si procederà ad una loro ulteriore scrematura sulla base dell’analisi delle condizioni del mercato, individuando i Paesi in cui risulta agevole entrare e rimanerci, prediligendo in una prima fase i mercati che sfruttano gli stessi canali distributivi e le stesse metodologie, in modo che l’impresa non sia costretta a investire in nuovi sistemi rispetto ai quali non ha grandi competenze ed esperienze.
LE BARRIERE NORMATIVE DEI MERCATI ESTERI – La conoscenza del sistema distributivo del Paese in cui si intende entrare è fondamentale anche per non contravvenire a norme interne al Paese stesso; in relazione a quest’ultimo aspetto, un esempio può essere d’ausilio: se da un lato risulta evidente che l’ottimale canale di sbocco dei prodotti del Made in Italy, specie la manifattura del lusso, vanto del Belpaese, è rappresentato dai ricchissimi territori della Penisola Araba, dove in tempi di crisi tutte le più grandi società del mondo trovano protezione sotto il potente ombrello economico delle famiglie reali e sostegno all’asfittica domanda globale dei loro prodotti, dall’altro, occorre considerare che proprio in questi ordinamenti giuridici complessi e variegati, anche in virtù dell’applicazione di istituti di diritto islamico o di legislazioni protezionistiche, le barriere normative possono rappresentare potenzialmente un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi imprenditoriali.
La distribuzioni in detti Paesi è affidata esclusivamente a soggetti locali, che in qualità di agenti e/o rivenditori (anche franchisee, etc), si occupano di raggiungere il consumatore finale.
Qui di seguito rappresentiamo una brevissima analisi dei Paesi arabi, approfondendo la problematica della distribuzione commerciale nel più strategico dei mercati della Penisola Araba, gli Emirati Arabi Uniti.
3. Mercati da esplorare: i Paesi della penisola araba: Oman, Emirati Arabi Uniti, Qatar.
OMAN – Il sultano Qaboos bin Said, al potere dal 1970, già nel 1999 dichiarava che per migliorare lo standard di vita dei cittadini omaniti sarebbe stato necessario iniziare un processo di diversificazione dell’economia, nella consapevolezza che il petrolio è una risorsa non infinita e che dunque bisogna pian piano diminuire la dipendenza dell’economia della nazione da essa, puntando sulla valorizzazione delle risorse umane, sullo sfruttamento delle risorse naturali disponibili, creando le condizioni adatte ad incoraggiare gli investimenti privati, assicurando ad essi un più ampio spazio per la crescita dell’economia nazionale.
Ed è proprio seguendo queste linee guida che il Sultanato dell’Oman, membro del WTO dal 2000, si è dotato di una moderna economia di mercato, come tale aperta agli scambi internazionali ed agli investimenti esteri, che attualmente fonda la sua programmazione sul piano “Vision for Oman’s Economy 2020”, adottato nel 1995, che ha messo a segno gran parte dei suoi obiettivi. Come dicevamo il settore petrolifero e del gas naturale e il relativo indotto costituiscono il traino della economia omanita, come delle economie degli altri Paesi della penisola araba, ma grazie al processo di diversificazione dell’economia sono stati realizzati ingenti investimenti, specie nel settore infrastrutturale ed immobiliare, e non si esita a programmarne continuamente di nuovi, secondo piani di intervento quinquennali. Nel settore turistico per esempio sono ormai più che rinomati, per la loro suggestività, luoghi come Musandam, o nella zona di Muscat hotel di charme come il Chedi, lo Shangri La, o in corso di realizzazione il rilevantissimo progetto di isole artificiali “The Wave” (in foto).
Venendo ad analizzare lo scambio tra l’Italia e l’Oman, è opportuno premettere che le esportazioni italiane superano di gran lunga le importazioni dall’Oman, e sono legate soprattutto alle commesse italiane in Oman, costituite da macchinari e lavorazioni metalliche (75% dell’export). Per quanto attiene i prodotti del Made in Italy, la quota di esportazioni è ancora piuttosto bassa, ma occorre puntarvi molto di più, atteso che il reddito pro-capite è relativamente elevato e “permette ad una certa quota della popolazione urbana uno stile di vita basato su modelli di consumo occidentali”. “I settori degli alimentari, degli elettrodomestici, dei sanitari di prestigio, delle ceramiche e delle attrezzature da cucina – per quanto ancora poco apprezzarti – possono offrire ulteriori spazi ai nostri prodotti”. (Fonte: ICE).
EMIRATI ARABI UNITI – Gli Emirati Arabi Uniti (E.A.U.) sono composti da sette emirati ed organizzati secondo un sistema di Governo federale, i più importanti sono Abu Dhabi e Dubai, anche se quest’ultimo da solo movimenta l’80% del commercio estero degli Emirati, essendo gli altri legati ancora prevalentemente alle esportazione e lavorazione degli idrocarburi. Gli EAU sono una delle più importanti e dinamiche realtà dell’intera regione del Golfo, che sta puntando alla diversificazione dell’economia, per sganciare le sorti di quest’ultima dal settore degli idrocarburi in previsione del loro esaurimento (che secondo le stime però non potrà avvenire prima di 100 anni). Export italiano negli Emirati – Anche se vi è stata una contrazione nelle esportazioni italiane negli E.A.U., al primo posto vi sono le esportazioni legate alle grandi commesse delle società italiane e dunque macchinari industriali e prodotti dell’industria meccanica, seguiti con un’ottima performance dal settore dell’oreficeria (gioielli e articoli di oreficeria), seguiti da macchine per impieghi speciali, macchine di impiego generale, tubi, prodotti petroliferi raffinati, aeromobili, mobili, articoli di abbigliamento in tessuto e accessori, articoli in materie plastiche, costruzioni navali, prodotti chimici di base, calzature, prodotti della siderurgia, altri prodotti alimentari. Sono presenti negli Emirati con propria filiale, secondo dati ICE, 120 società italiane, oltre a molte altre che operano a mezzo agenti locali. Come dicevamo, destinatario della maggiore quantità di esportazioni ed interesse è Dubai, anche se sarebbe opportuno esplorare anche le opportunità offerte dagli altri Emirati. A disposizione degli investitori stranieri nel territorio degli Emirati vi sono 23 zone franche con un regime di agevolazioni davvero vantaggiose per gli investitori, infatti offrono la possibilità di costituire società offshore che, a differenza di quanto avviene nel resto del Paese laddove è necessaria la maggioranza emiratina, possono prevedere il 100% di proprietà per l’impresa straniera, esenzioni fiscali, assenza di dazi, diritto di rimpatrio dei capitali, ovviamente non direttamente in Italia incontrando dette strutture i divieti previsti dalla legislazione contro i paradisi fiscali .
QATAR – Il Qatar, come gli altri Paesi dell’area, sta mettendo in pratica la diversificazione dell’economia, puntando sui settori non oil, ma forse più degli altri Paesi. E’ un’area di una certa instabilità politica, in quanto risulta uno dei più grandi produttori di gas del mondo, grazie al giacimento North Field – South Pars condiviso proprio con L’Iran, pur ospitando il Paese due basi militari americane. Si sono sviluppati a corredo delle attività di estrazione del gas altri progetti nel settore petrolchimico, nella produzione di polietilene, come anche in quello dei fertilizzanti chimici, nella produzione di alluminio. Oltre a questi, gli investimenti nel settore immobiliare sono rilevanti: sia per quanto concerne le infrastrutture (rete viaria e nuovo aeroporto internazionale di Doha) che la realizzazione di complessi alberghieri, residenziali e commerciali. Il più famoso è Pearl of Qatar, con 8.000 abitazioni, hotel di lusso, porticcioli turistici, centri commerciali, parchi e centri sportivi, etc. che sarà completato entro l’anno in corso(vedi foto).
Altro grande progetto immobiliare è il “Lusail Development Project” di Diar Qatar che prevede la realizzazione di un lago artificiale, quartieri residenziali, centri commerciali e ricreativi, due campi da golf, alberghi, strutture ospedaliere e due porticcioli turistici, il tutto raggruppato in dieci distretti. La proprietà degli immobili è aperta anche agli stranieri. (Fonte ICE). Per quanto riguarda i prodotti italiani, si segnala un calo significativo nella vendita di macchinari che, con gli altri beni strumentali, rappresentano pur sempre la quota più significativa delle esportazioni italiane in Qatar. Molto positivi i dati relativi all’esportazione di elementi da costruzione in metallo. Crescita anche per aeromobili, gioielli e oreficeria e apparecchi per l’illuminazione.
4. Avvalersi di collaboratori: il contratto di agenzia internazionale, cenni.
Per l’impresa impegnata in un processo di espansione all’estero il contratto di agenzia rappresenta un valido strumento per attuare una penetrazione efficace nel Paese di riferimento, affidando la promozione dei propri prodotti (e servizi) ad un agente del luogo che, conoscendo a fondo il sistema Paese, è in grado di inserirsi più agevolmente nel panorama distributivo di quest’ultimo.
Nel quadro del commercio internazionale la figura dell’agente stabilmente impegnato in uno Stato estero è una delle modalità “dirette” di penetrazione dei mercati d’oltre confine, insieme alla vendita diretta (cioè senza mediazioni di sorta) ed all’impianto di filiali estere. La scelta di un agente e, di conseguenza, anche l’organizzazione di una rete di agenti presentano il vantaggio della flessibilità proprio delle vendite dirette, nel senso che permettono all’imprenditore di monitorare in tempo reale i mutamenti dei gusti della clientela e di assicurare tempestive risposte alle strategie poste in essere dai concorrenti; risulta inoltre ottimale allorché il Paese straniero difetti di una propria efficiente rete di distribuzione.
In ambito comunitario viene applicata la direttiva comunitaria 653/86/CEE[1], adottata dal Consiglio, recepita da tutti i Paesi membri, che fissa delle norme inderogabili a tutela dell’agente, considerata parte debole del rapporto; il recepimento della direttiva avrebbe dovuto creare una normativa di diritto sostanziale praticamente identica, a prescindere dalla legge del Paese europeo in concreto richiamata, ma in realtà in ogni Paese vi sono normative particolari da rispettare, sempre a tutela dell’agente, che si affiancano alle norme comunitarie (e la diversità dei diversi regimi è emersa di recente nella applicazione del trattamento di fine rapporto, a seguito della emanazione della sentenza della Corte di Giustizia per il caso C-465/04 – 23 marzo 2006 – Honyvem c. De Zotti).
Premesso che le parti hanno la liberà di scegliere la legge applicabile, qualora detta scelta non venga esercitata, in ambito comunitario, in forza del Regolamento Roma I (Regolamento CE n. 593/2008 entrato in vigore il 17 dicembre 2009), si applicherà la legge del Paese in cui il prestatore di servizi (nel nostro caso l’agente) ha la sua residenza abituale; mentre per quanto attiene il contratto internazionale di agenzia (concluso da un soggetto italiano con un soggetto residente in un Paese extra-UE), in mancanza di scelta di legge applicabile, si applicherà quanto previsto dalla Convenzione di Roma che peraltro ha carattere universale (per espresso richiamo operato dalla nostra legge sul diritto internazionale privato, n. 218/1995, art. 57) che individua come legge applicabile la legge del Paese con cui il contratto ha il collegamento più stretto e che si presume essere quella del Paese in cui risiede la parte che deve fornire la cosiddetta prestazione caratteristica, nel caso del contratto di agenzia si considera prestazione caratteristica quella non avente carattere “monetario o pecuniario”, ossia quella che deve essere contrattualmente eseguita dall’agente (attività di promozione delle vendite dei prodotti/servizi del preponente). E’ chiaro che non sempre la materia è così lineare, in quanto, in fase di stipula del contratto, deve tenersi in debito conto l’eventuale presenza di normative interne ai singoli Paesi i quali stabiliscono disciplina cogente di protezione in favore degli agenti e che potrebbero vanificare ad esempio la scelta della legge operata dalle parti(es. legge italiana), in quanto quest’ultima verrebbe disapplicata (anche parzialmente) a favore delle norme interne di applicazione necessaria o di ordine pubblico. Negli Emirati Arabi Uniti ad esempio il contratto di agenzia viene integralmente sottoposto alla legge emiratina, come vedremo nel paragrafo che segue, e dunque ogni scelta diversa sarà inutile.
5. Focus: il contratto di agenzia secondo la legislazione emiratina – La modifiche apportate dalla recente legge federale n. 2 del 2010
Se l’imprenditore estero intende avvalersi di un agente per collocare i propri prodotti e/o servizi negli EAU dovrà nominare un local agent stipulando apposito contratto, secondo le regole che andiamo sinteticamente ad esaminare e che sono state di recente modificate dalla legge federale n. 2 del 2010. Dobbiamo premettere nel 2006 vi era stata una modifica legislativa che si muoveva nel solco della liberalizzazione dei rapporti tra preponente ed agente, nel 2010 vi è stato invece un ritorno al passato. Il Contratto agenzia viene registrato presso Ministero dell’Economia e come tale essere è sottoposto all’Agency law (il quadro di riferimento è rappresentato dalle leggi federali n. 18/1981 e n. 14/1988 nonché n.13 del 2006). Il contratto rimane in vigore sino a quando non viene cancellato dal registro del Ministero e dunque, anche quando esso cessa in maniera legittima, si deve attendere detta cancellazione affinché ne cessi l’efficacia. Le legge emiratina prevede come condizioni essenziali: – che il contratto debba rivestire la forma scritta che l’agente persona fisica sia cittadino emiratino oppure società al 100% partecipata da cittadini degli EAU avente ivi la propria sede, – che vi sia la clausola di esclusiva che riservi all’agente l’oggetto del contratto, – che siano indicate le generalità del preponente e dell’agente e che sia specificato dettagliatamente l’oggetto del contratto – che sia indicato il territorio (può anche estendersi a tutti gli EAU). L’accordo, anche se stipulato in altra lingua, deve essere munito di traduzione in arabo eseguita da un traduttore giurato (ovvero che abbia una licenza che gli consenta di operare negli EAU). Le provvigioni spettano per qualsiasi bene importato oggetto del contratto per il solo fatto che sia stato importato, anche se dette importazioni non sono frutto dell’attività dell’agente. L’agente ha il potere di chiedere che le autorità doganali sequestrino la merce importata in violazione dell’esclusiva, impedendo così le importazioni parallele a suo danno e dunque le vendite dirette da parte del proponente. Lo stesso preponente può nominare più agenti ma per prodotti diversi senza che possano sorgere contestazioni in ambito di esclusiva. La risoluzione delle eventuali dispute è demandata in prima battuta ad una Commissione per l’agenzia (istituita nuovamente nel 2010 dopo la cancellazione avvenuta nel 2006); dunque l’azione dinanzi al competente Tribunale è soggetta alla condizione di procedibilità del previo esperimento del procedimento dinanzi alla predetta Commissione, la cui decisione può essere appellata appunto dinanzi al Tribunale. Occorre sapere che la risoluzione (o mancato rinnovo) del contratto può essere fonte di dispute, proprio in virtù degli emendamenti alla legge apportati nel 2010 (che di fatto hanno vanificato la novella del 2006, ritornando al passato): per l’alto grado di tutela dell’agente offerto dalle norme, occorre che vi sia sempre un giusta causa (justifiable cause) per poter far cessare il contratto, anche se quest’ultimo è stipulato a tempo determinato. Ma l’individuazione della giusta causa è rimessa alla valutazione dei membri della Commissione e/o dei giudici degli EAU chiamati di volta in volta a dirimere le controversie, non potendosi rinvenire all’interno del testo di legge: ad esempio rappresenta giusto motivo la cessione del contratto a terzi da parte dell’agente senza autorizzazione del preponente, una relazione commerciale instaurata con concorrenti del preponente, il mancato raggiungimento dei target di vendita pattuiti etc. E’ opportuno quindi specificare con apposita clausola i casi di risoluzione espressa, anche se non si ha la certezza che i giudici ne riconoscano la legittimità ai fini della risoluzione del contratto. E’ inoltre prevista in favore dell’agente una indennità di fine rapporto e che è rimessa alla libera contrattazione delle parti, quindi e’ fondamentale determinarne il tetto massimo o i criteri di calcolo