L’economia italiana è ancora in affanno, lo dimostrano i dati ISTAT relativi all’anno 2003 sull’andamento dell’economia del Bel Paese. L’informazione statistica, riferita all’anno 2003 nel suo complesso, registra una riduzione degli scambi commerciali dell’Italia con l’estero. Persiste dunque la dinamica negativa delle esportazioni italiane, che seppur inserita in uno scenario UE nell’insieme poco favorevole, sconta la progressiva perdita della competitività dei nostri prodotti rispetto ai principali concorrenti, che vanno dai Paesi dell’Eurozona fino ai Paesi asiatici: questi ultimi in special modo costituiscono una seria minaccia per una economia come la nostra caratterizzata da una forte presenza nei settori più tradizionali dell’industria manifatturiera (tessile, calzaturiero, mobili etc.) e che investe ancora troppo poco nella ricerca e nella innovazione (al cui settore l’Italia ha destinato solo 1,1% del PIL, classificandosi agli ultimi posti della graduatoria europea, che vede in testa Svezia e Finlandia). In ogni caso, nonostante la performance deludente dei nostri mercati, si può ben sperare per il futuro in quanto l’economia mondiale nel suo complesso è in netta ripresa, come confermano i dati relativi ai primi mesi del 2004.
LA RIPRESA DELL’ECONOMIA IN USA E GIAPPONE – Il quadro congiunturale internazionale ha beneficiato della progressivo rafforzamento della ripresa negli Stati Uniti (grazie soprattutto ad una crescita dei consumi privati incentivati da sgravi fiscali e bassi tassi di interesse sui mutui) e del recupero della attività in Giappone (l’export ha registrato un + 10%), oltre all’apporto delle grandi economie in via di sviluppo (Cina, India e Russia). Purtroppo la principale eccezione in questo quadro di rafforzamento è data proprio dall’area euro (anche se i 10 nuovi Paesi hanno fatto registrare dati positivi) il cui ritmo di crescita, secondo gli esperti, già basso nel 2002, si è ulteriormente indebolito. A causare il mancato aggancio al trend internazionale sono stati sia la debole domanda nei mercati interni (sfavorevole e a livelli bassissimi si è mantenuto per tutto il 2003 l’indicatore del clima di fiducia nei consumatori) sia il netto peggioramento del saldo degli scambi con l’estero.
L’ITALIA E IL COMMERCIO ESTERO NEL 2003 – Anche l’Italia, come quasi tutti i Paesi dell’area euro (eccezion fatta per la Spagna e la Grecia), fatica ad agganciare la ripresa che comunque per il resto del mondo è iniziata nel 2003 e sta proseguendo agli stessi ritmi anche nel 2004, stando ai dati dei primi mesi dell’anno (che anche per l’Italia stanno dando segnali di ripresa).Nel 2003, in Italia, i flussi dell’interscambio commerciale con l’estero hanno registrato in media una variazione negativa. Le esportazioni già diminuite nel 2002 hanno subito nel 2003 una contrazione di quattro punti percentuali, mentre le importazioni si sono ridotte dell’1,6%. La riduzione più consistente si è avuta nelle vendite dirette verso i Paesi dell’area euro (– 4,6%), ma anche i flussi diretti verso i Paesi extra UE hanno subito una contrazione consistente (- 3,4%). In termini di quantità esportate si registra un unico settore in crescita, quello energetico, per gli altri (beni intermedi, strumentali e di consumo) il trend si mantiene negativo. All’interno del settore manifatturiero, seppur in flessione (- 7/8 %), ha fatto registrare una sostanziale tenuta il comparto delle macchine e degli apparecchi meccanici. In questo quadro non molto confortante sono sicuramente da sottolineare i significativi incrementi delle esportazioni verso i nuovi 10 Paesi che dal 1° maggio 2004 sono entrati a far parte dell’Unione Europea (+7%) e verso altri Paesi europei(come Romania, Bulgaria, Albania, Serbia e Montenegro etc.). Nel Mediterraneo la Turchia risulta il mercato di sbocco che ha fatto registrare le migliori performance per il nostro export (+ 16%, ma anche dal lato delle importazioni il risultato è positivo), così come anche i Paesi Efta (Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein) sono stati buoni importatori dei nostri prodotti. I dati stanno quindi a dimostrare il ruolo economico strategico che l’Italia può svolgere nell’ambito dei vicini mercati emergenti (intendendo i nuovi Paesi membri e quelli prossimi all’entrata nell’UE, oltre che tutti i Paesi dell’area MEDA).
LE IMPRESE ITALIANE E LA CONCORRENZA ESTERA – In un contesto di crescente concorrenza e di perdurante difficoltà di espansione nei mercati internazionali, la capacità delle imprese di diversificare le vendite sia a livello di prodotti che di mercato rappresenta un importante aspetto della competitività del nostro sistema produttivo. E’ infatti un dato significativo della scarsa capacità di diversificazione geografica, il fatto che il 40% degli esportatori italiani è presente in un numero limitato di mercati di sbocco, con l’effetto di dipendere commercialmente da pochi Paesi (da 1 a massimo 5). Esiste inoltre una stretta correlazione tra grado di diversificazione geografica e merceologica e permanenza sui mercati esteri: le imprese che riescono a diversificare le vendite, diversificando anche la tipologia di offerta a seconda dei mercati di sbocco, si radicano più agevolmente nei mercati esteri nei quali guadagnano crescenti quote di mercato. Dall’indagine condotta da Mediobanca e Unioncamere sulle imprese italiane e pubblicata nel 2003 è emerso come le imprese più dinamiche anche sul fronte della internazionalizzazione (sia produttiva che commerciale) siano quelle di medie dimensioni, spesso sviluppatesi all’interno dei distretti industriali – alcune nate da spin off di grandi imprese – le quali beneficiano della forza propulsiva offerta dal distretto.