La letteratura è piena di pagine drammatiche sul tema…
Da” I Buddenbrook “ di Thomas Mann all’inizio del 900, che racconta il declino di una ricca famiglia di commercianti di Lubecca da quattro generazioni. All’inizio la famiglia è pronta a sacrificare ogni sentimento al bene della “Ditta”. Ma gli eredi ben presto sviluppano sentimenti e attitudini non inquadrati nelle convenzioni sociali del mondo borghese del 900 e ben presto dissolvono il potere familiare.
Ancora drammatica è la testimonianza di Kafka in “Lettera al padre”, quando rimprovera appunto al padre di fissare dei valori nel lavoro e nella vita che sembrano valere solo per suo figlio, e che il padre invece non rispetta ne impone ai suoi dipendenti.
Concludo con delle pagine mirabili di Pasolini in Affabulazione… Che ho visto interpretato da un Vittorio Gassmann ormai al tramonto con il figlio Alessandro..
Mi ha colpito un discorso tra il padre, ricco industriale prepotente e caratteriale, e il figlio, costretto a vivere una vita di serie B all’ombra dei successi e dei valori paterni…
Il figlio, lamentandosi dell’incapacità del padre di farsi da parte e di imporre il suo modello per replicare se stesso in una nuova vita, gli dice ”:Sei proprio insaziabile- vuoi mangiare anche con la mia bocca? Domani e in tutto il futuro?
E il Padre
Ma non sai che la più grande gioia dei padri è vedere i figli uguali a loro?
IL figlio
Lo so , pare che i padri non chiedano altro alla vita. Bene, se proprio vuoi che siamo uguali, diventa tu come me.
Queste pagine così intense testimoniano il dramma umano che si consuma all’interno delle aziende tra i familiari, e queste lacerazioni è inevitabile che riverberino i loro devastanti effetti sui risultati aziendali .
La sindrome dei Buddenbrook – leggendo la stampa specializzata – sembra attanagliare il mondo delle imprese familiari italiani.
Dalle statistiche sembra infatti che solo il 20% delle imprese riesce a passare dalla prima alla seconda generazione e solamente il 10% alla terza.
Considerato che il tessuto imprenditoriale italiano è per il 90 % costituito da imprese familiari, dobbiamo considerare che nel prossimo decennio sono almeno due milioni i posti di lavoro a rischio per effetto del fenomeno passaggio generazionale.
Che dire ora di tecnico sul fenomeno. Ormai la letteratura professionale è così vasta che in pochi minuti si rischierebbe di essere superficiali.
Seganaliamo ale più recenti pubblicazioni:
– Famiglia Spa di Bonomi Rampello per il Sole “$ ore
– Capitalismo Famigliare di Colli per il Mulino
Vi segnalo poi un’ottima guida delL’allora comitato locale sud est che promuoveva il Metim negli anni 90, che fotografa in modo pregevole i diversi comportamenti degli imprenditori rispetto al passaggio generazionale, anticipatorio del processo piuttosto che ottusamente negatorio dell’esigenza del ricambio, sempre procrastinato. Ed in più la guida rappresentava le diverse scelte aziendali dell’imprenditore, influenzate dalle diverse percezioni di quella che è l’azienda.
A tale ultimo riguardo – in questa sede – è opportuno contestualizzare l’imponente dottrina aziendalistica rispetto al tessuto delle tipiche PMI meridionali, che hanno caratteristiche peculiari rispetto al resto del Paese.
Spesso al Sud l’azienda viene percepita come indistinta dal contesto familiare, e quindi la stessa assume la funzione di fonte di approvvigionamento della ricchezza, utile per soddisfare i bisogni umanie sociali della famiglia, nonchè per garantire un lavoro ai familiari.
Con questo modello, tipico del Sud, nel migliore dei casi nel corso della vita aziendale ordinaria si finisce con l’inserire a tappeto i propri familiari nell’organigramma aziendale, così demotivando il management esterno con le pesanti interferenze di natura familiare nelle scelte aziendali.
Al momento del passaggio poi il fondatore, o il gruppo di fondatori, per assicurare a se stessi e ai propri familiari più vicini un tenore di vita adeguato al passato, tende a spogliare l’azienda del suo patrimonio creandosi un patrimonio extraaziendale complementare, proprio nel momento in cui l’azienda ha perso gran parte della sua spinta innovativa, con un fondatore ormai vecchio e demotivato e che la priva di indispensabili risorse finanziarie.
E’ questo il momento in cui si consuma il collasso dell’impresa. La globalizzazione ha portato nemici commerciali grandi come colossi sotto casa, e le imprese che non riescono ad essere adeguate e moderne in un universo planetario di imprese verticalmente integrate, non possono permettersi evoluzioni così lente e periscono.
La figura del professionista diventa quindi fondamentale per le imprese del sud.
Spesso in queste l’organigramma aziendale – per motivi di budget risicato- è standardizzato e non c’è spazio per figure innovative. E così le nuove generazioni si appiattiscono in lavori routinari e scontati. L’inserimento di figure esterne dinamiche – da affiancare ai giovani imprenditori – potrà consentire una graduale evoluzione della mission aziendale, parallelamente al conseguimento degli obiettivi del core business aziendale.
Fondamentale è la sensibilità del professionista esterno, che deve conquistarsi la fiducia dei capi ma tifare per i giovani supportandoli nelle aspettative di innovazione e espansione.
Sulla base di questa fiducia riscossa dai fondatori suggerire loro strumenti giuridici e societari (quali Trust, patti di famiglia, accordi parasociali, holding di partecipazioni)in grado di perseguire i loro scopi di vita senza costringerli ad una patetica difesa ad oltranza del potere in azienda.
Ultimo avvertimento: attenzione ai professionisti esterni cresciuti per decenni con il fondatore, tanto da considerarsi strutturati “virtualmente“ nell’organigramma d’impresa. … sono i cosiddetti “famigli”.
Affiancare ai propri parenti lavoratori dei professionisti esterni così gelosi dei privilegi acquisiti significa sottoporli ad uno strisciante dissenso e ad una subdola opposizione.
Spazio dunque al doppio professionista, il secondo giovane e scelto dalle nuove generazioni…