di Gaetano Chianura – Los Angeles, November 5 – 2008
Che il Presidente degli Stati Uniti sia considerato l’uomo più potente del mondo è cosa risaputa. Ma storicamente questa qualifica è stata ricondotta al potere del Presidente, quale “commander in chief”, di spingere il bottone della guerra, di dare il comando per la partenza dei missili nucleari. Ora un altro bottone rende Obama un Presidente così unico, al di là dello strepitoso risultato popolare, e turba i sogni dei potenti della terra; il bottone del “bailout” (letteralmente salvataggio) che la Casa Bianca potrà spingere tutte le volte che dovesse rendersi necessario comprare una banca o un colosso finanziario intossicato dalla finanza creativa di Wall Street. Barack Obama, il 44esimo Presidente degli Stati Uniti, entrerà così nello studio ovale con in tasca un assegno in bianco da 700 miliardi di dollari, stanziato dall’amministrazione Bush per evitare l’effetto domino nel sistema finanziario e temperare i rischi di credit crunch, la stretta finanziaria provocata dalla carenza di liquidità del sistema finanziario. Mai prima d’ora tanto potere era stato concentrato in un solo uomo, che con questa prerogativa di acquistare pezzi del sistema finanziario potrà imporre la sua volontà a tutte le grandi lobbies mondiali, diventando così il vero arbitro degli equilibri politico/economici del pianeta.
E Obama queste lobbies le ha sfidate fin dal suo discorso di insediamento a Denver in agosto, quando rappresentò per la prima volta il suo progetto di realizzare in 10 anni l’indipendenza energetica dell’America, mettendo così al bando l’avventata campagna bellica irachena alla conquista del petrolio del Medio Oriente. Ma come reagirà a queste prospettive il sistema di potere internazionale che ruota intorno all’asse finanza/armi/petrolio? E che ha portato l’America al recente declino? Riuscirà Obama a mettere in pratica i suoi programmi con tutti questi nemici intorno? Che scenari dobbiamo aspettarci? Dovendo finanziare il progetto di riforma del sistema previdenziale e di assistenza sociale Obama si vedrà costretto ad aumentare la pressione fiscale a carico delle grandi corporation, che vedranno così ridotti i loro profitti; d’altro canto il previsto intervento pubblico nell’economia e i disincentivi alle delocalizzazioni porteranno presumibilmente verso un sistema dirigistico e forse protezionistico, ma almeno dotato di regole, quanto mai necessarie alla luce dei nefasti effetti dell’inventiva perversa dei finanzieri di Wall Street.
E cambieranno per conseguenza anche i costumi sociali ed economici della middle class americana, che per usare un detto noto, lavora come una formica ma spende come una cicala; basato sulle rendite di Wall street e sul credito facile il modello familiare dovrà necessariamente ridimensionarsi scoprendo l’antica ricetta europea del risparmio. Insomma, con Obama finisce forse un’era, l’era del liberismo, della “reaganomics” friedmaniana degli anni ’80 che proponeva un drastico e indistinto taglio delle tasse da reinvestire nella crescita e nello sviluppo, indotto dai consumi. Sebbene lo scenario che si intravede nell’immediato futuro non sia dei più esaltanti, quello che è successo in questi tre mesi però dà enorme fiducia sulle capacità evolutive del sistema americano. E’stata la vittoria del popolo, la vittoria della società civile, e per quanto è pervasivo il carisma di Obama c’è da pensare che anche obiettivi finora impensabili siano alla portata di questo Paese, che forse da domani potrà riscoprirsi grande…
God bless America…
God bless Obama….