Gli ultimi mesi ci hanno visti impegnati in una complessa de-localizzazione di un’impresa italiana in Brasile (nella foto è facilmente percepibile l’entusiasmo della folla alla firma dell’accordo con le massime Autorità Statali locali) ed abbiamo potuto constatare che l’insediamento di un IDE comporta all’interno dell’impresa de-localizzante, una serie complessa di cambiamenti, necessari a gestire la fase di avvio della produzione all’estero.
TG RAI :
Nell’articolo precedente abbiamo affrontato gli aspetti generali del fenomeno della internazionalizzazione della produzione, meglio nota come de-localizzazione, attuata attraverso uno spostamento di linee o fasi della produzione da imprese poste sul territorio di un determinato Paese ad altre localizzate all’estero (non necessariamente di proprietà delle prime).Tale spostamento dà luogo ad un’attività produttiva di beni intermedi o finali destinati ad essere rivenduti sotto il marchio della impresa de-localizzante. Il fenomeno de-localizzativo può strutturarsi, abbiamo visto, secondo diverse forme: attraverso alleanze con imprenditori esteri (joint-venture, cessione di licenze etc.); attraverso ricorso a sub-fornitori indipendenti ai quali l’impresa fornisce i progetti dei prodotti e ne segue la realizzazione; oppure attraverso un investimento diretto all’estero (IDE), ossia attraverso l’acquisizione o la creazione ex novo di una impresa all’estero ( è a quest’ultima opzione che è dedicato il presente articolo).
LA GESTIONE DELL’IDE –Gli ultimi mesi ci hanno visti impegnati in una complessa de-localizzazione di un’impresa italiana in Brasile ed abbiamo potuto constatare che l’insediamento di un IDE comporta all’interno dell’impresa de-localizzante, una serie complessa di cambiamenti, necessari a gestire la fase di avvio della produzione all’estero.
Infatti il trasferimento di quelli che sono i fattori competitivi che l’impresa possiede (know-how, tecnologie etc.) è operazione fondamentale, lunga e delicata, e prevede, come primo e necessario step, lo spostamento del personale tecnico italiano, al fine di realizzare nel più breve tempo possibile e al meglio una corretta integrazione verticale tra le due realtà produttive.
Per quanto riguarda invece gli aspetti amministrativi (gestione dei rapporti societari, impostazione contabilità, gestione della forza lavoro, definizione dei rapporti contrattuali con i fornitori di materie prime, relazioni con le autorità locali, etc) nella prima fase si attua una specie di”tutela” dell’azienda delocalizzante; in una fase successiva il supporto materiale, fatto anche di contiguità fisica, ceda presto il passo ad un supporto esclusivamente direzionale.
DOVE INSEDIARE UN IDE – La valutazione della convenienza di un investimento diretto in un Paese estero deve essere effettuata, oltre che sulla base di valutazioni produttive, anche sotto il profilo fiscale(ottimizzando flussi e direttrici dei dividendi) nonchè sotto quello daziario.
Infatti, essendo la produzione destinata a mercati diversi da quello in cui essa è realizzata (si pensi a prodotti fabbricati in Messico e destinati al mercato USA e canadese), è fondamentale accertare che le esportazioni non penalizzino il vantaggio competitivo ricercato attraverso la riduzione dei costi e delle distanze (nell’esempio appena fatto, sappiamo che Messico, USA e Canada hanno siglato un accordo di libero scambio – il NAFTA – che consente in linea di massima la libera circolazione dei beni fra i tre Paesi; per di più il Messico ha accordi bilaterali con Paesi del Mercosul).
Ma è anche opportuno accertare che i sistemi fiscali dei Paesi in cui si de-localizza non facciano da ostacolo alla attività di produzione che si insedierà in loco(si pensi al sistema di tassazione indiretta vigente in Brasile, in cui vi sono imposte diverse, le une di emanazione statale e le altre di fonte federale, che vanno ad incidere sui medesimi servizi, generando effetti di accumulazione).A tal fine è opportuno negoziare appositi accordi con i Governi locali.
DE-LOCALIZZAZIONE E OCCUPAZIONE – Spesso si afferma che esista una relazione inversamente proporzionale tra de-localizzazione della produzione e livelli occupazionali nel Paese di origine (ossia quello in cui risiede l’impresa de-localizzante); in altri termini alla de-localizzazione della produzione si accompagnerebbe sempre una contrazione dei livelli occupazionali nel Paese di origina, e nel nostro caso in Italia..
Se questo può essere parzialmente vero in un prima fase e vi può essere, pertanto, una contrazione dell’occupazione per la manodopera non specializzata (peraltro circostanza non dissimile da quella che si verifica nei casi in cui l’innovazione tecnologica produce l’effetto di ridurre la manodopera non specializzata, con contestuale richiesta di manodopera qualificata), sicuramente, a medio termine, il vantaggio competitivo determinato dalla scelta de-localizzativa produce i suoi effetti anche sull’occupazione nel Paese di origine.
In primo luogo, infatti, l’aumentata capacità produttiva determinata dal nuovo insediamento fa innalzare il livello delle vendite con un indubbia ripresa commerciale dell’azienda che, per gestire detto incremento, assume nuova forza lavoro; inoltre, nei casi di siti industriali insediati all’estero al fine di produrre semi-lavorati da rendere prodotti finiti nel Paese d’origine, la riduzione dei costi di questi ultimi produce come effetto l’aumento proporzionale della produzione nella impresa d’origine e nella nuova impresa – essendo le relative attività altamente integrate – con il risultato di accrescere i livelli occupazionali, specie nel settore della manodopera specializzata. In alcuni casi i livelli occupazionali non subiscono variazioni di sorta, poiché le imprese decidono di insediare all’estero produzioni diverse, (diverse linee di produzione, beni complementari, o prodotti di bassa gamma) che lasciano inalterato la situazione nel Paese d’origine, ed anzi producono incremento di attività in settori diversi o per prodotti diversi, con indubbi vantaggi sotto il profilo occupazionale.
Gaetano Chianura
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