Nell’articolo della scorsa settimana avevamo analizzato, grazie al rapporto Ice 2006-2007, i dati dell’import ed export del nostro Paese nel 2006 che confermano il trend positivo di crescita che riguarda i paesi l’Eurozona e anche l’Italia, anche se, purtroppo, con risultati più moderati. Adesso ci occupiamo della posizione del nostro Paese in relazione agli investimenti diretti esteri (IDE) effettuati dalle nostre imprese nell’anno 2006.
IDE IN ITALIA E NEL MONDO – Se per i numeri delle esportazioni i paesi emergenti sono quelli che registrano i più consistenti aumenti (Cina, India etc), la crescita dei flussi di IDE sia in entrata che in uscita è stata nel 2005 come nel 2006 più rapida nei paesi sviluppati che in quelli emergenti. “L’incremento dei profitti delle imprese ha sospinto notevolmente il valore delle operazioni di fusione e acquisizione, che costituiscono una frazione importante degli IDE e coinvolgono principalmente paesi sviluppati: il loro valore si è triplicato rispetto al 2005”. Tra i Paesi in via di sviluppo quelli più ricchi di materie prime sono stati i maggiori destinatari di IDE. Se sul versante esportazioni sono le imprese italiane di più grandi dimensione ad accaparrarsi più quote rispetto alle PMI, nell’ambito dell’internazionalizzazione produttiva è invece cresciuto negli ultimi anni il peso delle piccole e soprattutto delle medie imprese, le prime, a causa della più forte competitività dei paesi emergenti giocata a livello della riduzione dei costi materie e lavoro, reagiscono trasferendo all’estero le fasi produttive; le medie imprese realizzano investimenti anche in paesi lontani, con l’obiettivo di migliorare l’accesso ai mercati di sbocco. Ma dove si dirigono le nostre imprese per effettuare i propri investimenti? Se l’Unione europea rimane la principale area di destinazione delle partecipazioni italiane in imprese estere, cresce anche il numero delle iniziative che vedono come meta i paesi dell’Europa centro-orientale e dell’Asia, mentre si è ridotta l’importanza degli Stati Uniti nelle scelte di investimento. La Bulgaria e la Romania sono state in passato e rimangono destinatarie di notevoli flussi di IDE; anche se l’obiettivo degli investimenti in questi Paesi sta cambiando: se prima ad attirare i nostri imprenditori era soprattutto la convenienza economica della manodopera, adesso, con l’ingresso nell’Ue, il costo del lavoro sarà sempre crescente e ad interessare le nostre imprese saranno i mercati interni, vivace sbocco per i nostri prodotti e/o servizi.
LA NUOVA DE-LOCALIZZAZIONE – Il rapporto ICE fa osservare che è in notevole aumento il costo unitario dei prodotti esportati non soltanto nei settori maggiormente influenzati dai prezzi delle materie prime, ma anche in quelli tradizionali del made in Italy, specialmente nel tessile-abbigliamento e nei mobili, fenomeno dovuto in larga misura ai processi di riqualificazione e selezione del mercato produttivo italiano. In altri termini alla fuoriuscita dai mercati di esportazione delle aziende meno produttive e innovative, collocate su fasce di mercato a più basso valore unitario, corrisponde il consolidamento di quelle in grado di riqualificare la propria produzione verso segmenti di mercato a più alto valore unitario, che, grazie all’immagine e alla qualità raggiunte, non temono di perdere terreno anche se il costo unitario del bene aumenta. La tendenza è quella che vede l’impresa italiana spostare all’estero non solo produzioni di qualità inferiore, ma anche produzioni di fascia alta, lasciando in Italia soltanto le fasi della progettazione e della commercializzazione.