La disciplina della direttiva 96/71/CE, le tutele minime a protezione dei lavoratori (85) Un’azienda portoghese in vista dell’esecuzione di lavori edilizi strutturali da eseguirsi in una cittadina tedesca invia presso il cantiere allestito in Germania 30 suoi lavoratori. Possono questi lavoratori considerarsi “distaccati”? Chi è tenuto a pagarne lo stipendio? Quale è il minimo salariale che spetta loro? A queste, come ad altre domande, ha dato una risposta la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 71/96/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, a cui si sono aggiunte le numerose pronunce della Corte di Giustizia intervenute ad interpretare la direttiva in relazione alla sua applicazione nei singoli ordinamenti nazionali.
LA LEGGE APPLICABILE – In materia di contratti di lavoro, in mancanza di scelta della legge applicabile, trova applicazione la Convenzione di Roma del 1980, la quale stabilisce che il contratto è regolato dalla legge del paese in cui il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro, anche se è temporaneamente distaccato in un altro paese. Qualora il lavoratore non svolga abitualmente il suo lavoro nello stesso paese si applica la legge del paese in cui si trova la sede dell’impresa che ha proceduto ad assumerlo, a meno che dall’insieme delle circostanze risulti che il contratto presenti un collegamento più stretto con un altro paese. In ogni caso la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non deve privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni imperative della legge che regolerebbe il contratto in mancanza di scelta. Inoltre, a tutela del lavoratore, al giudice è consentito in via eccezionale di disapplicare la legge di norma applicabile al contratto per applicare disposizioni vincolanti ai sensi del diritto internazionale privato, designate anche con i termini “leggi di applicazione immediata” o “leggi di polizia”. Qualunque sia la normativa applicabile al rapporto di lavoro, la Comunità Europea, con l’emanazione della direttiva succitata, ha sentito il dovere di disciplinare la fattispecie del distacco creando un nucleo di norme comuni finalizzate a creare quella tutela minima che deve essere garantita dal datore di lavoro al proprio lavoratore distaccato in altro Paese membro (come ad esempio periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo, durata minima delle ferie annuali retribuite, tariffe minime salariali, sicurezza, salute e igiene sul lavoro, provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro etc.).
LA DIRETTIVA 71/96/CE – La direttiva mira a superare gli ostacoli che potrebbero compromettere la libera prestazione dei servizi, consentendo di individuare la disciplina applicabile ai lavoratori appartenenti all’Unione Europea che temporaneamente prestano la propria attività in uno Stato membro diverso da quello in cui il rapporto di lavoro trova la sua disciplina; si considera infatti distaccato un lavoratore che per un periodo limitato svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello da cui lavora abitualmente. La direttiva trova applicazione quando le imprese appartenenti ad uno Stato membro distaccano temporaneamente un dipendente per eseguire lavori in uno altro Stato membro e ciò accade sostanzialmente in tre situazioni: 1. distacco nell’ambito di un contratto concluso tra l’impresa che invia i lavoratori e il destinatario della prestazione di servizi; 2. distacco di lavoratori in uno stabilimento o in un’impresa appartenente al gruppo; 3. distacco di lavoratori ad opera di un’impresa di lavoro temporaneo presso un’impresa utilizzatrice con sede in uno Stato membro diverso da quello dell’impresa che effettua la cessione temporanea. Requisito essenziale in tutti i tre casi è che esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore distaccato e l’impresa che lo invia: deve permanere, per tutta la durata del distacco (di norma non superiore a 12 mesi), un legame organico tra lavoratore distaccato e impresa distaccante: gli elementi costitutivi di un distacco regolare devono essere, oltre alla temporaneità, il legame di dipendenza con l’impresa distaccante e la circostanza che il lavoro sia svolto per conto e nell’interesse di quest’ultima. In questa circostanza lo Stato Membro provvede affinché, qualunque sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro, le imprese garantiscano ai lavoratori distaccati nel loro territorio le condizioni di lavoro ed occupazione che sono fissate nello Stato membro in cui viene fornita la prestazione di lavoro da disposizioni legislative, amministrative o regolamentari o da contratti collettivi e arbitrati che producono effetti erga omnes.
LA REVISIONE – Nonostante la direttiva avesse previsto a carico dei Paesi membri un obbligo di “Cooperazione in materia di informazione”, molti dei problemi riscontrati nella effettiva applicazione della direttiva derivano proprio da difetti di collaborazione tra le autorità designate dai Paesi Membri e quindi si va dalla incapacità per gli organismi preposti di eseguire i controlli relativi al rispetto della legge alla difficoltà per le imprese di adempiere a tutte le formalità richieste da ciascun Paese. Rappresentano ostacoli le differenze linguistiche, le norme nazionali non rintracciabili in un unico corpus ma disseminate in una legislazione frastagliata, ma anche i troppi adempimenti a cui sono sottoposte le imprese (si pensi all’obbligo, oltre un certo periodo, in genere 3 mesi, di registrare o immatricolare i lavoratori in trasferta presso organismi del lavoro, autorità amministrative competenti o presso la polizia o di redigere taluni documenti sociali e di lavoro, di tradurli e di tenerli a disposizione delle autorità di controllo o di conservarli per un determinato periodo di tempo nel paese di accoglienza, se non addirittura presso un rappresentante societario). La discussione per un revisione della direttiva è avvenuta lo scorso 26 gennaio per iniziativa della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali del parlamento Europeo durante una audizione pubblica, nella quale è emersa la volontà di non stravolgere l’impianto della direttiva, ma di eliminarne le zone d’ombra che ne affievoliscono la portata. Si attende comunque a breve la relazione d’iniziativa con la quale il Parlamento Europeo esprimerà il suo parere.