Il mercato alimentare UK è uno dei più aperti ai prodotti che veicolano italianità. Il mercato del food, nel canale retail vale 55 m.di € ed è stabile, con eccezioni in categorie come i piatti pronti, i sughi, i cibi etnici, o ancora nicchie come functional o organic foods. Le global companies, p.e. Nestlè, Unilever, Heinz, Pepsi-co, Mars dominano i rispettivi mercati con i colossi locali quali United Biscuits, Cadbury, Northern Food, Uniq. Dal lato distributivo vi è una forte concentrazione. I primi 6 retailers ( Tesco, Sainsbury, Asda, Safeway, Morrisons, Somerfield ) valgono circa il 75 % del food con trend in aumento. La forza dei retailer è confermata dalla elevata percentuale, circa il 45%, di prodotti a marchio proprio e di elevato rapporto qualità/ prezzo rispetto ai brand dei produttori.
I CONSUMATORI INGLESI – PREFERENZE E NUOVE TENDENZE – I consumatori inglesi si indirizzano verso prodotti ad elevato contenuto di servizio (convenience food) : coloro che cucinano partendo da ingredienti di base sono circa il 20 %. Prevalgono cibi pronti o pronti da cuocere ( ready to eat e ready to heat). Vi è da un lato la presa di coscienza della necessità di un’alimentazione equilibrata a basso tasso di colesterolo, vista la diffusa obesità, dall’altro il continuo consumo di prodotti ad alto contenuto di grassi e zuccheri, data l’ampia disponibilità a prezzi contenuti. Circa il 15% dello spending pubblicitario è dedicato a prodotti come cioccolato o snack dolci. Solo lo 0,5% a frutta e verdura fresca. Cresce l’ attenzione alla qualità delle carni e ai metodi di allevamento, sia come effetto indotto della BSE che per una attenzione vs. gli animali. Aumentano i single e ciò impatta sull’evoluzione degli stili di consumo, dando un ulteriore impulso al consumo dei piatti pronti. Un'altra conseguenza è l’ aumento dei consumi fuori casa favorito anche dall’aumento del reddito pro-capite e dai ritmi di lavoro più frenetici. Socializzazione fra i più giovani, praticità e autogratificazione spingeranno sempre di più il consumo fuori casa, e le catene del foodservice (Mc donald’s, Compass, Burger King, Pizza Hut, Starbucks) dovranno competere con i supermercati che a loro volta si organizzeranno sempre più con fast food “in store” per non perdere quote di consumi. I locali a tema in stile italiano sono previsti in aumento unitamente al tex-mex e al vegetariano.
IL FENOMENO DELL’ ITALIAN FOOD – Secondo il rapporto Mintel, dal 1997 al 2001 il mercato di pizzerie e ristoranti base pasta, appartenenti a catene è aumentato di circa il 40 % in 4 anni superando i 1,5 mld €. Senza contare gli innumerevoli ristoranti italiani indipendenti presenti sul territorio. Nel canale Retail si stima che i consumi di prodotti etnici, escludendo bevande,dolci,carni siano di circa 3,5 € m.di, raddoppiato in 5 anni. Poco meno della metà sono “italian style”, seguono indiani, cinesi e messicani. E la tendenza è per ulteriore crescita . Quanta Italia c’è in questo fenomeno? Poca.
LE AZIENDE ITALIAN STYLE – Le aziende italian style sono classificabili come segue: a) italiane,con marchi italiani storici, (Barilla, Rana, Carapelli,Saclà);b) straniere,con marchi italiani storici,(Bertolli-Unilever, Buitoni-Nestlè,);c)straniere con marchi italiani creati ad hoc (Pasta Reale, Classico-Heinz,Ragù-Unilever).Le aziende di tipo a) sono poche. Il caso forse di maggior successo, è Saclà che si è ritagliata una nicchia significativa nel mercato dei sughi pronti di alta gamma. Ma è uno dei pochi casi. Le ragioni di ciò si comprendono guardando alla composizione delle categorie in cui si “annida” l’italian style: piatti pronti e pizze refrigerati e surgelati, sughi pronti, valgono al consumo ca. 1,5 mln €., pasta di semola, olio, conserve tradizionali e prodotti tipici (Prosciutto di Parma, Parmigiano) ca. un quinto. Tecnologia, servizio e innovazione quindi sono vincenti su tradizione e tipicità.
LA TRADIZIONE ITALIANA: PUNTO DI FORZA E LIMITE – L’industria alimentare italiana si è sviluppata seguendo gli stili di consumo degli italiani, da sempre amanti del piatto fatto in casa, proponendo prodotti in linea con questo modello rispettoso della tradizione. Si può affermare come la tradizionale passione per la cucina, abbia nel contempo creato le basi per il successo dell’ italian food nel mondo e limitato le possibilità per l’industria italiana di appropriarsene a livello mondiale. La soddisfazione del bisogno “italian food” è stata modellata in UK ( e nel mondo) su stili di vita molto diversi da quelli italiani con prodotti servizio e “tecnologici”. A cogliere l’opportunità sono state aziende straniere , più inclini a soddisfare questo tipo di bisogni solo da poco conosciuti in Italia.
PROSPETTIVE PER LE AZIENDE ITALIANE – La limitata presenza dei più grandi gruppi nazionali, e la promessa di un’ offerta di “italianità” autentica lasciano spazi di sviluppo per le imprese che non si trincereranno dietro un concetto conservatore di tradizione, ma sapranno innovare pur nel rispetto della tradizione guardando alle evoluzione degli stili di vita e di consumo. Occorre favorire strumenti di aggregazione fra le imprese: oggi l’80% delle aziende italiane alimentari ha un fatturato sotto i 5 mio €. Ne consegue, forte concorrenzialità fra PMI, indifferenziazione del prodotto, mancanza di massa critica per sostenere investimenti in tecnologia e advertising, elevati costi di produzione, scarsa capacità produttiva per rispondere alle richieste della grande distribuzione.La forte concentrazione della distribuzione inglese causerà crescente selettività nella scelta degli interlocutori, ma anche ottime opportunità per “piccoli organizzati”, grazie all’accentramento delle decisioni sugli assortimenti e della funzione logistica, che consentirà a chi saprà proporsi con prodotti e progetti di interesse di entrare sul mercato minimizzando la complessità operativa. Ed entrare in una catena significa coprire anche il 15-20% del mercato.,E’ preferibile evitare approcci improvvisati di contatto diretto con la GD. Meglio avvalersi di distributori con piattaforme in loco, cui delegare la funzione di accounting con il cliente.Occorrerà infine ringiovanire il concetto di prodotto italiano spesso irretito in stereotipi che lo fanno sovente somigliare a dei souvenir turistici un po’ nostalgici o lo legano a immagini da “Little Italy”un po’ sorpassate. La cultura alimentare italiana è molto più di questo. E’ qualità, storia, benessere, socialità, sapore, passione per la cucina. E’ un dovere prima che un opportunità per le aziende italiane appropriarsene in esclusiva ed esportarla.