La Gazzetta del Mezzogiorno inaugura in questo numero una rubrica periodica sul commercio internazionale; la stessa sarà coordinata dall’Avv. Gaetano Chianura, membro italiano del Network di Studi Internazionali “Eurolegal”, oggi rappresentato da oltre 500 professionisti provenienti da 21 diversi Stati. La trattazione degli argomenti contemplerà gli spunti eterogenei di esperti di marketing, avvocati e dottori commercialisti, con l’obiettivo di fornire alle diverse tipologie di imprese rappresentate nel Meridione possibili strategie di espansione internazionale e di analizzarne gli aspetti tecnici, legali e fiscali. Con la speranza di favorire un’approccio più strategico e meno casuale alle iniziative delle nostre imprese nei mercati stranieri
Con il termine “Commercio Internazionale“ si intende far riferimento a tutte quelle complesse attività che caratterizzano l’operatività delle imprese che hanno rapporti con l’estero.
Spostandosi invece nel contesto delle imprese meridionali sembra più adeguato parlare di “Internazionalizzazione”; le PMI del Mezzogiorno infatti, spesso avulse dalle grandi realtà internazionali, sperimentano i loro primi approcci sui mercati internazionali e si trovano costrette, loro malgrado, ad affrontare contemporaneamente tutte le fasi del commercio internazionale, dalla redazione dei contratti, alle procedure fiscali fino alle problematiche dei trasporti, delle dogane e dei pagamenti internazionali.
L’internazionalizzazione è la rappresentazione di questo processo evolutivo, che per la sua complessità comporta per le imprese che lo sperimentano un fortissimo impatto e radicali cambiamenti organizzativi.
La vastità e l’eterogeneità della problematiche connesse al processo di internazionalizzazione impongono all’imprenditore un mix di competenze, che spaziano dagli aspetti del marketing alle problematiche legali, fiscali e finanziarie; professionalità queste da organizzare necessariamente “in casa”, data l’impossibilità per le tipiche PMI del Mezzogiorno di affrontare gli ingenti costi di un gruppo, esterno o interno, di tecnici specializzati nelle diverse aree.
Queste circostanze fanno pensare che difficilmente un simile fenomeno possa svilupparsi senza passare attraverso una crescita culturale degli imprenditori, finora nella maggior parte dei casi impegnati in forme di esportazioni pressoché casuali, per lo più trainate da fenomeni contingenti, per reagire ad un calo del mercato interno piuttosto che per adottare un progetto strategico di esportazione della propria formula imprenditoriale
Eppure il fenomeno sempre crescente della globalizzazione fa sì che per le imprese meridionali l’internazio- nalizzazione, più che un’opzione, rappresenti una vera necessità.
Si pensi alle imprese impegnate nella subfornitura a grandi gruppi internazionali; queste entrando a far parte di un sistema verticalmenta integrato, si vedranno esposte a crescenti costi di adeguamento strutturale e a rischi di estromissione dalla catena internazionale se non adeguatamente impostate a livello internazionale.
Più in generale potremmo comunque ricondurre le ragioni per avviare un processo di internazionalizzazione ad alcuni fattori fondamentali, che potremmo così sintetizzare:
I CLIENTI.
L’internazionalizzazione, mentre da un lato garantisce la conservazione dei vecchi clienti, dall’altro crea i presupposti per l’acquisizione di nuovi su altri mercati.
I FORNITORI.
Gli approvvigionamenti non possono più essere fatti solo in ambito locale ma devono farsi direttamente alla fonte, là dove le materie prime costano meno. Potrebbe essere quindi opportuno stipulare accordi di mercato con società estere localizzate nei paesi nei quali è più agevole il reperimento della materia prima.
L’OFFERTA.
L’evoluzione dei prodotti, delle mode, rende di difficile collocazione nel mercato nazionale un prodotto che mantiene attrattiva in altri paesi. L’internazionalizzazione permette appunto di continuare a sfruttare altrove competenze, economie di scala, e professionalità consolidate nel mercato nazionale.
LA PRODUZIONE.
Ciò che prima veniva realizzato in ambito nazionale, può adesso essere prodotto a costi inferiori in altri paesi: emerge così l’opportunità di spostare talune produzioni in paesi esteri, direttamente o tramite joint ventures con partners esteri.
Questi sono solo alcuni fattori basilari che spingono le PMI all’internazionalizzazione, ma è un dato di fatto che ormai quel processo di globalizzazione dell’economia che prima sembrava essere riservato ad una piccola parte del sistema industriale italiano, ora coinvolge sempre di più il tessuto delle Piccole e Medie Imprese, che ormai guardano ai mercati esteri come l’unica alternativa di crescita e in alcuni casi di sopravvivenza del proprio business, pur associando ad essi un maggior grado di rischio e di difficoltà dato dal ristretto ambito geografico e conoscitivo in cui hanno sino ad ora operato.
E allora come fare ad internazionalizzarsi?
I modi sono i più vari; si può entrare in un nuovo mercato attraverso un distributore commerciale indipendente che acquista in proprio, o istituendo una rete di agenti esteri non indipendenti, o creando una rete di concessionari, assumendo una partecipazione finanziaria in un’altra azienda estera, adottando o trasferendo una nuova tecnologia, partecipando ad un’appalto pubblico all’estero, etc.; non senza trascurare quella particolare forma di penetrazione di nuovi mercati data dall’impiego della tecnologia di Internet, che con investimenti relativamente limitati conduce anche una piccola impresa su una platea estesa quanto il mondo.
Di queste come di altre forme di internazionalizzazione cercheremo nei prossimi numeri di chiarirne gli aspetti strategici ed operativi.